l'Arena di Verona
lunedì 3 dicembre, 2007

 

AMBIENTE.Il collaboratore dell’ex vicepresidente Usa ospite del Lions Club San Vigilio-Garda orientale


«Al Pianeta restano cinquant’anni di vita»

di Alessandro Azzoni

 

«Ancora mezzo secolo di tempo, non di più. Poi avremo perso il pianeta, per sempre. E allora saranno dolori». Parole pesanti come pietre, quelle di MARIO Alverà, ambasciatore per l’Italia del Premio Nobel Al Gore nonché unico italiano presente nell’entourage del ex vicepresidente americano. Ospite a Bussolengo del Lions Club San Vigilio-Garda orientale, ha parlato non solo degli sconvolgimenti climatici già in atto e in parte irreversibili, ma anche dei possibili rimedi ad una catastrofe sempre più annunciata. «È la più grande sfida che ci attende, ma anche una grande opportunità per ripensare il rapporto tra l’uomo e il suo pianeta», ha detto. «In quest’ottica, la crisi del clima non è solo una questione politica: è anche una sfida morale e spirituale».
Alverà parte dal clima, ovvero da quell’inarrestabile aumento della temperatura anno dopo anno sempre più palese. «Negli ultimi cinquant’anni la temperatura media della Terra è aumentata di quasi un grado, fatto mai accaduto prima tanto repentinamente e sul quale la grande maggioranza degli studiosi converge. Si tratta per altro di un aumento perfettamente sovrapponibile alla crescita dell’anidride carbonica, il gas serra per eccellenza. Mantenutasi per millenni tra 180 e 280 parti per milione, la sua concentrazione ha iniziato a salire nella seconda metà del secolo scorso fino a raggiungere oggi quota 380, ed è previsto che possa arrivare entro il 2050 a 600. Oltre tale quota, l’atmosfera terrestre innescherà reazioni a catena irreversibili».
Scioglimento dei ghiacciai, siccità perduranti e catastrofiche, alluvioni e uragani saranno all’ordine del giorno. «Ma sarà solo l’inizio», afferma. «Il peggio arriverà dopo. A preoccupare saranno le conseguenze. Ondate migratorie di milioni di persone per sete e fame, estinzione del 30% delle specie animali e vegetali, riduzione di circa il 70% dei grandi ghiacciai, raccolti compromessi e prezzo delle derrate sempre più caro, epidemie come la malaria in estensione e aumento del rischio di mortalità per il caldo».
Alverà si sofferma poi sul problema del drammatico aumento della popolazione terrestre, passata dai 2,3 miliardi del 1945 agli attuali 6,6, con prospettive di superare largamente i 10 miliardi entro cinquant’anni. «È il problema dei problemi», dice riferendosi alla bomba demografica e all’incapacità del pianeta di sopportare un simile numero di abitanti. «Occorre affrontarlo subito, mettendo i popoli asiatici e africani nella condizione di pianificare le nascite».
I prossimi 20-30 anni saranno dunque cruciali per un pianeta che dovrà ridurre a partire dal 2015 le emissioni di gas serra per contenere l’aumento di temperatura intorno a 2-2,4 gradi rispetto ai 5 previsti da qui ai prossimi 150 anni. Fermare l’emergenza-clima costerebbe lo 0,12% l’anno del Pil mondiale utilizzando le tecnologie attuali. Ma come fare, se solo tra cinquant’anni l’umanità consumerà energia in misura quasi doppia rispetto a quella attuale? A tal proposito, sul nucleare Alverà si è detto «agnostico».
«La strada sarà quella della fusione nucleare, non della fissione. Serviranno naturalmente investimenti massicci e tanta volontà politica, ma ce la possiamo fare. Ho personalmente molti dubbi sull’idrogeno: troppo complesso il suo rifornimento da parte delle automobili».
Tra tante inquietudini c’è però una storia a lieto fine. «Quella delle buco dell’ozono», ha concluso Alverà. «Si sta chiudendo ormai quasi ovunque; ciò dimostra che se si vuole, le soluzioni arrivano».